Intervista a Fabio Viola su Gamification, Storytelling e Transmedia

Sono sempre più attuali e contaminati i temi del transmedia, gamification e storytelling per dar vita a dei progetti in grado di sfruttare al meglio le potenzialità di cinema, editoria, web, social e videogiochi creando delle storie in grado di creare un forte livello di engagement e partecipazione attiva. Ho avuto il piacere di rispondere ad una lunga intervista a cura di Corrado Peperoni ed apparsa sul suo blog lo scorso 27 Novembre. Vi consiglio di leggerne la versione integrale, ma per comodità ho pensato di riportare alcuni stralci più significativi.

Si parte con la definizione di gamification sempre più divergente tra l’ambiente accademico e la  vulgata comune.

 

Xmp: Ciao Fabio, grazie per la disponibilità. Inizio subito con una domanda sul fenomeno di cui sei tra i maggiori esperti italiani: Gamification…puoi darmene una definizione?

Fabio Viola: Mi torna più semplice dare una duplice definizione. La comunità scientifica ha ormai adottato, in maniera coerente, l’idea che la gamification sia una scienza che interseca teorie e tecniche di game design, psicologia, scienze comportamentali e (neuro)marketing per creare una super user experience in contesti non gaming. Come ebbi modo di scrivere in alcune presentazioni nel 2011 “Il corretto utilizzo della Gamification riesce a spostare i comportamenti di un utente portandolo da un Punto A (sfera di interesse personale) verso un Punto B (sfera di interesse di brand/enti pubblici/no profit). E’ possibile creare una stretta relazione tra A e B (engagement), un rapporto di fidelizzazione (loyalty), rendere più divertente e meno noiosa l’esposizione di A ad una attività B (more fun) o risolvere/migliorare un processo di interazione tra A e B (solve a problem).”

La definizione tecnica deve purtroppo scontrarsi col linguaggio comune che ormai vede persone di ogni ordine e grado intendere con gamification qualsiasi tipologia di esperienza in cui il gaming esce dal suo perimetro naturale di strumento di divertimento per abbracciare i più svariati settori della nostra quotidianità. Ed è qui che serious games, edugames, advergames, gamification si mescolano in un grande calderone. Ciò premesso, non sono un grande amante dei perimetri circoscritti e non mi innamoro delle definizioni. Il termine gamification ha sicuramente riscosso un successo straordinario portando aziende e individui a confrontarsi, spesso senza il giusto bagaglio tecnico, con un medium sempre più egemone per la generazione corrente.

Intervista al game/gamification designer Fabio Viola su transmedia e storytelling

Intervista al game/gamification designer Fabio Viola su transmedia e storytelling

Interessante la  domanda sulla crescente presenza dei giochi nei prodotti narrativi ed in generale nelle strategie di persone ed aziende lontane dal “nostro” mondo.

Xmp: Più in generale, secondo te, quale il motivo per il quale sempre più frequentemente prodotti narrativi vengono ibridati con meccaniche ludiche? Quali obiettivi ci si pone, quale valore aggiunto si ottiene?

Fabio Viola: Io credo che il gaming abbia delle modalità tutte sue di raccontare storie che rappresentano al meglio i tratti distintivi della generazione che sta diventando numericamente dominante, i Millenium o Generazione Y (nati dopo il 1980). Provando a schematizzare alcuni tratti unici:

– I videogiochi sono il regno della libertà di scelta: andiamo a destra o sinistra? Parliamo con questo o con quel personaggio? Reagiamo in un modo o nell’altro ad una data situazione?
– I videogiochi rendono il giocatore protagonista: Siamo noi gli eroi ed i protagonisti assoluti. Questo aiuta tremendamente nell’immersione della storia, il giocatore diventa in un certo grado il co-designer dell’esperienza.
– Easy to play, hard to master: i videogiochi semplificano le azioni da compiere rendendole inizialmente semplici e progressivamente più complesse in relazione alle abilità acquisite. Questo è straordinariamente forte a livello di engagement, consentendo l’immersione in problematiche e scenari non accessibili nella vita reale.
– Feedback Loop: in tempo reale il sistema ci informa se stiamo performando bene o male una azione (se sferro un colpo ad un nemico, la progress bar mi indicherà istantaneamente se l’ho colpito o meno e quanto danno ho inflitto) aiutandoci a rinforzare o modificare dei comportamenti.
– Learning by doing: Nei giochi si matura attraverso l’esplorazione e l’azione. Le idee teoriche trovano corrispondenza sul campo. Paradossalmente il fallimento viene incoraggiato, cosa che mai accade nella vita reale, come strumento per progredire e rinforzarsi nella storia.

Xmp: Mi sembra evidente che un concetto chiave sia quello dell’esplorazione. Anche in questo caso si tratta di un legame, di una continuità, del mondo video ludico con quello del transmedia storytelling?

Fabio Viola: Negli ultimi anni i videogiochi hanno intrapreso sempre più spesso la strada di “open worlds”, mondi aperti e non lineari in cui viene esaltata la componente di libero arbitrio ed esplorazione dei giocatori. Pensiamo a giochi come Red Dead Redemption, Grand Theft Auto V e Minecraft, non più imbrigliati in livelli pre-definiti ma in scenari, a volte fedelmente ricostruiti rispetto alla controparte reale, nei quali vi è una più o meno ampia libertà di interazione. Se ci soffermiamo ad analizzare il gameplay di molti giochi open worlds noteremo sempre una certa tendenza del designer a mantenere il controllo dell’esperienza attraverso l’introduzione di missioni obbligatorie o laterali da portare a termine, fondamentale per continuare a veicolare una narrazione.

 

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