Play is a state of mind

Il cervello umano è popolato da una infinità di speciali cellule nervose chiamate Neuroni. Per muoversi verso specifiche aree del cervello e comunicare tra di loro utilizzano dei segnali elettrici e chimici noti come Neuro-Trasmettitori che si muovono lungo delle arterie chiamate giunzioni sinaptiche. Immaginiamo una massa infinita di 100 miliardi di neuroni che lavorano incessantemente rilasciando e richiedendo stimoli, sono loro che influenzano una varietà di processi tra i quali quelli che regolano le motivazioni e le emozioni che ci spingono a sentirci immersi all’interno dei videogiochi.

Uno dei 100 miliardi di neuroni presenti nel nostro cervello!

Ciò che rende straordiariamente unici i videogiochi rispetto ad altre forme di intrattenimento è la loro capacità di soddisfare celebralmente due istanze differenti. Essi contribuiscono al rilascio short term di una serie di sostanze chimiche che raggiungono degli hotspot localizzati nell’area limbica, luoghi come il nucleus accumbens ed il ventral pallidum dando vita a quella sensazione di piacere istantaneo. Questo accade non solo con i videogiochi ma in diversi contesti della vita quotidiana: una commedia brillante, una barra di cioccolata, un giro sulle montagne russe, un orgasmo tutte esperienze accomunate da una sensazione di piacere con una durata limitata nel tempo. Questo è ciò che Kent Berridge definisce “Hedonistic Hotspot of Liking

Se questa alterazione dello stato mentale è condivisa dal gaming con tante altre azioni, quello che è peculiare del nostro medium è la capacità di generare l'”Hard Fun”. Esso è si un piacere ma questa volta a lungo termine ed estremamente più premiante e potente celebralmente. Questa sensazione di piacere ha una componente attiva, l’essere umano è pro-attivamente coinvolto nel processo ed è proprio questo “enjoyment” a spingerci a ritornare più volte in un gioco o a compiere una azione per lunghi tratti temporali. Nicolas Negroponte nel suo sperimentale libro “Being Digital” racconta un aneddoto accaduto al MIT Media Lab nel 1989 quando un ragazzino di 8 anni che presentava le sue costruzioni Lego spiegò la sua esperienza come: “Yes, this is fun, but it’s Hard Fun”

[NOTA BENE: Sfatiamo un mito, il termine Hard Fun non arriva da Nicole Lazzaro come molti erroneamente credono]

Ecco entrare in scena i videogiochi come straordinari Engagement Engines.

La mia definizione di videogioco è:

Sistemi strutturati ad adesione volontaria ricchi di sfida, con un processo di apprendimento ingaggiante (Learning by doing), abilitano una forte connessione emotiva, forniscono un senso di autonomia (Autonomy) e controllo (Mastery), sono il regno dell’imprevedibilità e sorpresa (Wow Effect) e ci immergono in un universo in cui noi siamo gli eroi e le nostre scelte epiche senza rischi personali. (Epic Choice).

I video-giochi come sistema di apprendimento: Nei giochi sin dal primo istante inizia un percorso costante di apprendimento che porterà nel tempo a imparare nuove abilità o informazioni. Questo processo reiterato di acquisizione di know how è amplificato nei videogiochi dai continui rewarding psicologici che l’unlock di nuove features comporta. E’ una crescita che trigga il cervello, sempre desideroso di apprendere nuove istanze per ampliare il proprio bagaglio culturale. L’apprendimento non è imposto dall’alto, ma avviene in una cornice detta dagli scienziati della cognizione “Leaderning by doing”, ovvero impariamo continuamente dai nostri fallimenti. Dopo esser caduto 10 volte in un burrone acquisto l’abilità per saltare al di là grazie alla giusta pressione di un testo in uno specifico momento. Nei videogiochi ben disegnati non si smette mai di imparare, anche quando si è diventati utenti esperti.

I video-giochi creano un senso di autonomia: I videogiochi, a differenza di altri medium, lasciano un margine di libertà, sempre all’interno di un recinto scientemente voluto dal game designer. E’ possibile decidere che azione compiere e come relazionarsi col mondo circostante, una libera scelta apprezzata in particolar modo da quelli che Richard Bartle definisce Explorers. L’idea di esplorare una ambientazione o un fenomeno, secondo James Paul Gee e Steven Johnson, secondo schermi ordinati è alla base del Probing, un driver che crea tensione.

I video-giochi sono sistemi ricchi di sfida: Lungo il processo di apprendimento una serie di sfide vengono poste dinanzi al giocatore secondo una curva via via crescente e sempre relazionata alle abilità acquisite. E’ il concetto di psicologia positiva di Flow, a cui ho dedicato uno specifico articolo. Proprio questa componente di continui e piccoli ostacoli crescenti, che mai portano a perdere di vista l’obiettivo generale, rende i giochi una esperienza prolungata nel tempo. Leggere un libro o vedere un film sono esperienze che si perpetrano un ristrettissimo numero di volte, mentre molti videogiochi ci spingono a rigiocarli migliaia di volte lungo un arco temporale prolungato. E’ proprio questo senso di sfida che ci riporta nel sistema per migliorare il nostro high score o per sconfiggere un avversario umano o raggiungere dei sotto-obiettivi mai terminati.

I video-giochi ci immergono in un universo in cui siamo gli eroi: Sin dall’alba dei tempi la mitologia ci tramanda storie caratterizzate da un eroe dotato di poteri o forze psicologiche sopra la media impegnato in una lotta immane per sconfiggere un nemico al fine si salvare una donna o una città. La storia artificialmente creata nei games è un profondo motivo di engagement perchè offre la possibilità anche a chi nella vita reale non ha lo spessore di portare a termine difficili missioni, di cimentarsi dal proprio divano. In questa storia non correremo alcun rischio, potremo sperimentare tattiche e strategie con la possibilità di more sapendo di poter ricominciare. Eppure questa differenza tra realtà e finzione al primo contatto visiva non è percepita dal nostro cervello. Edward Castronova nel volume “Exodus to the Virtual World” lo spiega citando ricerche, non siamo in grado di distinguere alla prima percezione la differenza tra la morte in un gioco e quella reale. Solo l’ingresso in scena del cervello porta i contesti nelle giuste prospettive.

Più WOW Effect di questo momento videoludico...!

I video-giochi sono il regno dell’imprevedibilità e sorpresa: Il nostro cervello è continuamente esposto alla novità nei videogiochi. Non sappiamo quale nemico arriverà, non conosciamo la mappa di una nuova ambientazione e siamo piacevolmente sorpresi dal ricevere dei bonus inaspettati. Una delle tensioni emotive predominanti nel medium videoludico è l’attesa di cosa accadrà l’istante dopo, questo contribuisce alla creazione di un deep engagement. Questo tipo di interconnessione celebrale è ben conosciuta nel mondo del gambling dove prodotti come le slot machine sono disegnati per mandare letteralmente in tilt i nostri predictions neurons.

 

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