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Un videogioco per misurare le emozioni dei bambini

Il covid sta spingendo sempre più le scuole ad adottare piattaforme e strumenti digitali per la didattica a distanza. Sono molteplici i progetti che stanno nascendo per allargare l’offerta online di scuole ed istituti, ed all’interno di questi spicca “Play to be a player: learn for your life”. Il progetto parte dall’esigenza, da parte di scuole ed educatori, di diffondere i valori etici della cittadinanza, della convivenza pacifica e del rispetto culturale nella società moderna, ma grazie al digitale riesce a porsi nel contesto attuale come strumento tecnologico di riferimento nelle scuole per affrontare temi come il bullismo, il rispetto dell’ambiente e l’integrazione attraverso un videogioco. Attraverso la piattaforma GAMENGO, il lupacchiotto Filù si rivolge ai bambini delle scuole primarie.

Il progetto ha visto impegnato il noto game designer Fabio Viola nella strutturazione della componente di coinvolgimento rientrando in un progetto più ampio con capofila ADTM e partner come Università di Foggia, MamaPulia, MobileIdea, ArgoMedia, Alfa Consulting.

 

 

 

 

 

 

Filù, il protagonista del gioco, è stato ideato dal team di ricerca dell’Università  di Foggia ed è un bimbo con le orecchie e la coda da lupacchiotto. Questo simpatico personaggio accompagnerà i bambini attraverso 12 livelli ambientati nelle tre macro aree del bullismo, rispetto dell’ambiente ed integrazione. Ogni livello racconta una situazione al quale il bambino assiste con l’insegnante o un genitore, che si conclude con un quiz a risposta multipla. Per esempio Filù sarà preso in giro per il suo aspetto da alcuni bambini e le risposte del quiz mireranno a comprendere quale emozione prova il giocatore nel vivere quell’esperienza.

Il videogioco di Filù, fruibile sia in italiano che in inglese, è dotato di un algoritmo sviluppato ad hoc che traccia un profilo ‘emozionale’ del giocatore, che cambia ogni volta che lo studente rigioca e modifica le sue risposte al quiz. Ogni risposta data evidenzia una stellina sulla casella del quiz completato ed alla fine della sua avventura nel mondo di Filù  il giocatore è premiato col rilascio di un diplomino che può essere anche stampato. 

 

Allo scopo di diffondere in maniera efficace i valori del dialogo culturale e di contrastare le problematiche più rilevanti della società odierna quali l’antisocialità, il disinteresse, la diffidenza verso il prossimo percepito come diverso,GAMENGO Play to be a player ha realizzato:
Una piattaforma web-based pensata ad hoc per il mondo “scuola”, capace non solo di mettere a disposizione di tutti gli utenti registrati contenuti didattici formativi ma anche di profilare, monitorare ed elaborare dati provenienti da piattaforme di gioco proprie o di terze parti. La piattaforma nel pieno rispetto della privacy è dei ruoli(scuola, responsabile, educatore) è in grado di gestire dinamicamente utenti (alunni e classi) e figure professionali coinvolte ed è in grado di immagazzinare dati, provenienti da sessioni live di gioco, elaborarli (tramite algoritmi) e metterli a disposizione dei formatori autorizzati.
Un gioco multimediale per ragazzi di età compresa tra i 6 ed 8 anni attraverso il quale i ragazzi vengono coinvolti in percorsi virtuali finalizzati allo sviluppo di un apprendimento collaborativo e interattivo.
Contenuti formativi di altissimo profilo realizzati grazie alla collaborazione della Università degli Studi di Foggia

Sfida e sfidati con TryThis

Covid e relativo lockdown hanno limitato di molto la vita che conoscevamo prima dell’inizio della pandemia. Il digitale ogni giorno cerca di contrastare l’isolamento imposto dal virus con idee volte a farci socializzare tramite l’intrattenimento. Una di queste davvero interessante è Try This, un app che viene presentata come il primo vero esempio di Real Social Game.

TryThis

Ma cosa fa quest’app di preciso? Innazitutto Try This si rivolge agli amanti delle sfide e permette loro di creare una prova nella realtà e sottoporla agli sfidanti digitalmente. Come? Supponiamo che io voglia partecipare alla sfida di chi colpisce un bersaglio a dieci metri di distanza con una palla di carta. Dopo aver girato il video della mia impresa, posso caricarlo sulla piattaforma e chiedere agli amici di votarla.

 

 

 

 

 

Con tre voti di approvazione da tre utenti diversi la sfida sarà approvata lato community, ma servirà un ulteriore voto di approvazione da parte del team di TryThis per confermare se la prova è stata eseguita correttamente. Con questo ulteriore voto positivo si potrà accedere al livello successivo della sfida, per un totale di tre livelli.

 

 

L’app Try This, disponibile per dispositivi Android e iOs, presenta anche una sezione “Gioca Ora” dove sono descritte le regole per partecipare. E’ anche possibile stampare il Game Kit per ogni singola sfida. Inoltre se il filmato della sfida portata a termine totalizzerà un grande numero di likes potrebbe essere selezionato per finire nella Top Video dell’app ed essere così visualizzato facilmente da tutti i membri della community.

 

I videogiochi migliorano la salute

Il videogioco è storicamente stato osteggiato da un’ampia schiera di sociologi o psicologi che identificavano nelle meccaniche di fruizione degli adolescenti una risposta alla ricerca di isolamento ed evasione dalle responsabilità per prendere le veci di ruoli virtuali irrealistici e per questo dannosi per la psiche.

La mancanza di confronto sistematica che i genitori hanno per decenni portato avanti nei confronti del fenomeno videogioco era, ed in parte è ancora, terreno fecondo per queste teorie per benpensanti catastrofici.

Ma queste teorie del videogioco fonte di “alienazione” su quali dati si sono fondate in questi anni? Verrebbe da dire sul nulla, ma più benevolente ipotizziamo su questionari ed estrapolazioni di dichiarazioni spontanee dei giocatori o dei loro famigliari in merito alle ore passate davanti agli schermi.

Non ci sono mai stati studi organici che differenziassero le tipologie di prodotto e le strategie linguistiche e socializzanti dei giocatori impegnati nel multiplayer con il supporto anche di cuffie e microfoni per esempio.

 

videogiochi e salute

Oggi si stanno diffondendo i primi approcci accademici “seri” in merito ad una fenomenologia che come abbiamo visto in questo articolo coinvolge ormai miliardi di soggetti.

I primi risultati sono sconvolgenti per quella parte di commentatori che tentano ancora di rimanere ancorati al mito del videogioco nemico della crescita emotiva e della salute mentale dei giovani.

La verità sembra essere addirittura l’opposto.

Questo è ciò che documenta l’università di Oxford nello studio condotto su dati “reali” in merito alla fruizione di due giochi di grande successo fra i teenagers quali Nintendo Animal Crossing e Plants vs Zombies battle for neighborville.

 

Lo studio tende a dimostrare come i giocatori esprimano un senso di maggiore benessere e di riduzione dello stress e delle meccaniche mentali negative ed aggressive dopo lunghe sessioni di gioco.

Lo studio di Oxford è forse il primo al mondo a documentare questi risultati con dati certi sulla durata delle sessioni ed il primo a certificare come i questionari psicologici siano stati proposti in correlazione a iterazioni videoludiche su titoli certi e in condizioni certe.

Studi precedenti, affermano i ricercatori di Oxford, erano basati su autodichiarazioni e non erano attendibili.

Andrew Przybylski, coordinatore della ricerca, ritiene che uno studio condotto con metodo scientifico come quello di Oxford permetta di fornire dati sensibili ad istituzioni di natura socio sanitaria, che stanno moderatamente avvicinandosi a questo ecosistema come ha dimostrato la Food and Drug Administration autorizzando il primo videogioco a scopi curativi.

La parte dello studio di Oxford che aumenta ulteriormente la veridicità di questa conclusione è il monito a non applicare questi dati in modo generalizzato a tutto il fenomeno del videogioco come piattaforma social dei giovani, in quanto esistono tipologie ludiche molto diverse dai due titoli presi in considerazione che andrebbero studiate in maniera analoga con particolare attenzione ad anomalie quali il bullismo informatico e il follow the leader come presupposto all’alienazione di gregge solo trasposta dalle aule scolastiche ai mondi virtuali.

Si tratta insomma di uno studio approfondito e serio, che apre una porta schiaffeggiando certi credi obsoleti e che speriamo sia il primo di una nuova tendenza.

Plants vs Zombies

BALENCIAGA SVILUPPA UN VERO GIOCO PER LANCIARE LA SUA NUOVA COLLEZIONE

La contaminazione tra moda e videogames è cresciuta nel corso del 2020 e sta per diventare ancora più forte grazie a Balenciaga. Invece di una sfilata, la maison del gruppo Kering farà debuttare la sua collezione FW21/22 attraverso un videogioco creato apposta per l’occasione.

Afterworld: The Age of Tomorrow uscirà il 6 dicembre e sarà ambientato nell’anno 2031. Presentato come “un’avventura allegorica”, il gioco esplorerà il tema del destino umano attraverso “passati mitologici” e “futuri proiettati”.

Sebbene i dettagli siano ancora scarsi, la casa di moda ha detto a Women’s Wear Daily che il gioco vedrà un “avatar eroe esplorare diversi livelli, motivato da compiti e interazioni”. Questa può essere una descrizione significativa per i non giocatori, ma assicurano che chi provera’ questa esperienza interattiva affermerà,”Sì, questo è un videogioco” . Balenciaga ha anche confermato che sarà riproducibile tramite browser.

Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga, è stata forse la più abile a superare i limiti delle settimane della moda imposti dalla pandemia causata dal coronavirus. La sua collezione più recente, prevista per la pre-estate, è stata svelata attraverso un cortometraggio ambientato sulla canzone di Corey Hart dal titolo “I Wear My Sunglasses at Night”.

Optare per un videogioco sembra ancora più ambizioso e continua una tendenza di alta moda che dà ancora più credito ai giocatori. Il tema elevato del destino umano si adatta perfettamente al videogioco e Balenciaga descrive il mondo virtuale che è stato creato affermando che “può sembrare, ma è lontano da una visione distopica, mostrando invece il lento ritorno a un sano equilibrio della natura e dell’industria.”

Il 2020 e’ stato un grande anno per i videogiochi nel mondo della moda (GucciBurberry) e nonostante tutti gli stereotipi che esistevano per i giocatori in passato, un’ampia gamma di marchi del luxury ora li vede come consumatori esperti di stile che non possono essere ignorati.

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Report Qualitativo Industria videogiochi Italia 2019

Lo scorso 13 Settembre 2020 è stato presentato il report del 1° Osservatorio Qualitativo di SAE Institute Milano sull’industria videoludica con la responsabile Alessandra Micalizzi ed il game designer Fabio Viola.

Nel 2023 ci saranno 3 miliardi di videogiocatori. Nell’indagine, da un lato emerge l’importanza di contribuire a una riqualificazione della cultura del gioco, dall’altro c’è la necessità di un quadro normativo chiaro, di sistemi di finanziamento già presenti per altri tipi di prodotti culturali (si pensi al cinema) e di riconoscimento ufficiale di percorsi formativi, che ad oggi avvengono quasi tutti al di fuori del sistema universitario.

Scarica Report Osservatorio_Videoludico_2019_def

Sintetizza la profssa Micalizzi: Adattabilità, network e attenzione per il tratto estetico, oltre che   narrativo. Questi i tre elementi che distinguono il mercato videoludico italiano, frammentato, popolato di micro-realtà e al tempo stesso collaborativo, capace di guardare alle sfide del futuro, con voglia di riscatto”.

Fabio Viola  commenta le peculiarità italiane: “A differenza di altri Paesi come la Francia, UK e la stessa Bulgaria, ad esempio, che sono riusciti ad avere un approccio industriale senza svilire la parte più indie, l’Italia ha mantenuto una dimensione artigianale, quasi sartoriale, molto legata all’essere innamorati di ciò che si fa con tutti i pro e i contro che questo comporta”.

Indubbiamente, il settore videoludico rappresenta una fetta di mercato particolarmente florida in termini di incassi, ma se guardiamo alla realtà italiana non mancano i paradossi.” – sottolinea Alessandra Micalizzi, che ha curato e coordinato i lavori di ricerca – “Primo fra tutti la forte frammentarietà. Oggi il mercato italiano che pubblica titoli di interesse in tutto il mondo, di fatto è composto primariamente da piccolissime realtà che stanno in piedi grazie all’impegno e alla passione di chi ci lavora perché non esiste una rete strutturata e strutturale di supporto a questa industria culturale, spesso a causa di persistenti pregiudizi.”

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La gamification dello scontrino

Il concetto di piattaforme as a service ha preso piede prepotentemente nel mondo dei videogiochi tramite gli e-sport e volge i suoi passi un pò in tutte le direzioni con idee a volte originali a volte troppo fantasiose per attecchire.

Oggi puntiamo i fari su un servizio italiano, ancora ad onor del vero in evoluzione e in definizione di identità, ma che ha capito molto come la prospettiva vincente sia quella di immedesimarsi nell’acquirente e da li muoversi verso i produttori creando un percorso che è guidato dai gusti del potenziale cliente e non indotto dal venditore che cerca di convincerti che tu abbia bisogno del suo prodotto.

E’ un’idea customer centrica ovviamente valida, ma come renderla pratica e funzionale?

 

Scratch&Screen è una piattaforma che ragiona su un oggetto tanto comune quanto bistrattato e inviso a tutti: lo scontrino. A cosa serve questo oggetto cartaceo spesso incomprensibile e fastidioso, da gettare nel primo cestino a portata di vista? Un negozio che decida di abbonarsi al servizio renderà lo scontrino un elemento ludico in mano all’acquirente. E’ sufficiente confrontare i codici stampati sullo scontrino con la app S&S per scoprire istantaneamente se avete ottenuto una vincita!

Il principio della sfida e del premio istantaneo rende un semplice rettangolo di carta un tool di gamification, puntando sull’engagement del cliente, che prima di liberarsi del fardello probabilmente farà un check per scoprire eventuali belle sorprese.

Un gratta e vinci digitale direte voi? Non solo, il valore aggiunto introdotto da Scratch&Screen è inoltre il fatto di partire da questo primo step per creare un percorso di drive to store.

Come funziona il drive to store gamificato

Tutti gli esercenti o i fornitori di servizi abbonati alla piattaforma si scambiano fra di loro offerte speciali o regali di cui usufruiranno i clienti di un particolare negozio, scoprendo di aver vinto un regalo in altro negozio strategicamente sito nello stesso centro commerciale o in zona comunque vicina.

Le vincite, grazie ad opportuni algoritmi di profilazione, intendono proporre prodotti il più possibile vicini ai gusti degli acquirenti, se quindi acquisterete tisane salutari in uno store omeopatico, alla lettura dello scontrino, difficilmente potreste vincere un assaggio di whiskey invecchiato. Più probabilmente potreste vedervi offerta una seduta relax in un centro yoga.

La grande potenza del concetto introdotto con questa applicazione è che la profilazione del cliente, di per se preziosa e rivendibile agli esercenti, diventa anche gamificata e quindi agisce in tempo reale, e non attende lo studio delle informazioni depositate nel database.
Che cosa significa per il cliente? che tramite il check dei vari scontrini viene creata una customer journey, personalizzata sul singolo in generale e, teoricamente, addirittura sulla giornata stessa (e quindi sull’umore del momento).

L’applicazione di questo strumento che noi riteniamo di grande potenzialità, dipende a questo punto dalla fantasia e da un minimo di coordinazione degli store, per questo motivo è assolutamente indirizzato a cittadelle dello shopping e grandi centri commerciali.

Ma il punto focale per il nostro articolo è evidenziare come un’idea se vogliamo abbastanza ovvia, possa oggi funzionare solo grazie alla gamification, laddove concetti tradizionali hanno ampiamente fallito. Per avvalorare questa affermazione vi porto un ultimo esempio che è quotidianità in molte città: pensate ai tanti volantini stampati che vi trovate nelle buche delle lettere e che offrono sconti a scadenza su un ampio raggio di tipologie di prodotti per catturare attenzione di piu clienti possibili e che hanno un rate di penetrazione assolutamente risibile, e poi pensate a qualcosa di simile, ma digitale (ed ecologico) tramite cellulare, non invadente (scelto da voi solo se volete verificare l’effettiva possibilità di sconti) e basato solo su categorie di prodotto che avete già acquistato in precedenza.

Il dado è tratto, ora sta a voi giocare con i vostri scontrini.

scontrini gamification premi

A cura di Valter Prette

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Allenati con l’exergame Quell

Presto lo potrete trovare sugli store online. Giochiamo d’anticipo con un prodotto che più recente non potrebbe essere perché appena passato per campagna crowfunding.

Quell è un prodotto per il fitness casalingo che ispirandosi a Ring Fit Adventure propone il controllo di un personaggio in una avventura 3D e si focalizza sui combattimenti in stile pugilato per creare sessioni di intenso, ma controllato, esercizio fisico.

quell real gaming excercises

Questo progetto merita tutta la nostra attenzione grazie alla ricchezza di elementi che sono stati introdotti nel kickstarter: un vero boxeur come testimonial e un’accurata realizzazione sia dell’hardware, che sembrerebbe essere preciso e sofisticato, sia del software, con uno stile grafico fantasy che parte sì dalle librerie di base dei motori grafici, ma appare in evoluzione ed anche ben ispirato.

Boxe gamificata

Il gioco è disponibile per PC, Mac e iOS, e necessita di un semi-invasivo sistema wearable che utilizza bande di resistenza per simulare impatti e migliorare il tracciamento delle braccia. il focus infatti è tutto sui movimenti degli arti per sferrare pugni come un boxer semi-pro contro i nemici a schermo. E’ disponibile la modalità quick per fare esercizio immediato e quella story più adatta agli appassionati di videogiochi, e che principalmente necessiterà di evoluzione e migliorie con futuri dlc scaricabili.

Il punto di forza dell’offerta sono i guanti con sistema di sensori e accelerometri.

 

Va da sé che questa idea sia nata in piena epoca Covid e su questo fattore punti come push per i preordini, che sembrano essere già incoraggianti. In un certo senso è una corsa contro il tempo per non perdere per strada gli acquirenti appassionati di palestra, ma questo aspetto di strategia commerciale non è quello che interessa a questo blog, quanto piuttosto testimoniare come sul binario di vecchie sperimentazioni come il Kinect oggi la gamification abbia portato un input fondamentale per il successo di questo tipo di prodotti.

Una volta apparivano nei negozi improbabili periferiche per “espandere” l’esperienza videoludica, con mediocri risultati; questo perché non si riusciva a identificare il prodotto come espressione di abitudini e necessità degli utenti comuni, ma solo come bizzarie da geek o da nerd.

La gamification rivoluziona il processo identificando le necessità del mercato e applicando il gaming come vocabolario per espandere il bacino di utenza.

Il risultato è che un attività di allenamento tipica dei boxeur, a cui solo pochissimi giocatori normalmente si dedicano, diventa l’uovo di colombo per persone annoiate che normalmente non intraprendono il lungo percorso di iscrizione in palestra + lezioni con istruttore + acquisto di materiale che probabilmente finirà nello sgabuzzino in breve tempo.

Quell è divertente, fornisce gratificazione immediata tramite impatto visivo sulla TV, risultati immediati perché se siete nel mood, potrete sudare entro pochi minuti, e potenziale social tutto da esplorare per eventuali sessioni contro altri utenti.

Un ulteriore aspetto 100% gamificato sono i badge che Quell elargirà in base al vostro livello di progresso nel gioco e che verrano recepiti e visualizzati in diverse app di tracciamento delle attività fisiche. Il sistema dei badge progressivi è chiaramente ideale per questa esperienza.

La nostra opinione è che il concetto funziona e sembra uno dei migliori prodotti in questa crescente nicchia di mercato, un mercato che esiste da tempo ma in maniera latente e in semi-estinzione, ora prepotentemente verso l’auge grazie alla gamification.

A cura di Valter Prette

La corsa alla gamification delle banche

La rivoluzione informatica degli istituti bancari è in corso da anni con molta lentezza, tramite l’adozione delle nuove tecnologie che di volta in volta diventano abitudini delle nuove generazioni.

La banca è storicamente un’istituzione “necessaria” per gestire i propri prelievi tramite bancomat e per chiedere soluzioni finanziare quali i mutui; è insomma una realtà del proprio quotidiano non appena si diventa maggiorenni. Questo non significa che il linguaggio con cui si interfaccia alle persone sia anch’esso quello giovanile: è anzi interesse di molti istituti bancari mantenere un’areola di inaccessibilità e di depositaria di potere e informazioni precluse alla persona comune, per giustificare l’azione di affidare alla sua competenza i nostri risparmi.

gamification banca

 

 

La controtendenza è nata prima tramite internet e gli accessi ai conti online, dove parte di tutta quell’informazione precedentemente demandata alla fila agli sportelli è divenuta accessibile da casa; successivamente grazie al mobile, con i tool che allertano il cliente in tempo reale sull’andamento della borsa o l’arrivo dello stipendio sul conto.

Il passo “rivoluzionario” è quello di tramutare l’accesso all’informazione del proprio conto in un contenuto interattivo, qualcosa di dinamico e indirizzato dalle azioni del cliente indipendentemente da consulenti della banca. Un esempio semplice del concetto lo abbiamo affrontato per esempio parlando di risparmio programmato ad obiettivi con Smarty Pig.

Le banche oggi hanno la necessità di fare proprie le stimolanti idee della gamification e nel farlo adottano la tattica centenaria che le contraddistingue: appropriarsi di metodologie già esistenti e classificarle secondo una terminologia proprietaria che faccia sembrare che dietro ci sia una imperscrutabile conoscenza che solo loro sanno maneggiare.

I dettami del modello PBL (point, badges, leaderboards) hanno uno scopo apparentemente ludico ma, qui più che in altre piattaforme, si prefiggono un obiettivo puro e semplice: la loyalty gamificata, trovare cioè il giusto piacevole meccanismo di interazione a cui il cliente si abituerà e che non vorrà più abbandonare.

L’engagement in questo scenario cresce di pari passo con la semplificazione, essendo le procedure ed i concetti finanziari non affatto intuitivi.
Ecco che per attrarre il maggior numero di clienti l’approccio ludico si sposa con concetti cari alle nuove generazioni come educazione ambientale, microrisparmio, green finance.

Citiamo in questo ambito la proposta di Flowe, che afferma di investire le risorse bancarie nella creazione di profitto tramite attività ambientaliste e sociali, alla stregua quasi di una onlus.

 

flowe mediolanum gamification banca

I principi base di Flowe

Il concetto propagandato è quello della BetterBeing Economy, un esempio di quanto abbiamo appena detto in merito alla trasmutazione di definizioni già esistenti in formule criptiche ad uso delle finanziarie (il nome è addirittura depositato). Ebbene, questa economia etica significa gestire le proprie scelte di vita tramite il denaro e grazie alle istruzioni dell’istituto che diviene la nostra guida, a cui non dovremo più rinunciare!

La carta di credito di Flowe è fatta in legno, per ricordare che ogni correntista è associato ad un nuovo albero piantato in Guatemala tramite accordo con ZeroCO2 (gamification a mille tramite la app che mostra l’ubicazione geografica della tua personale pianta!)

L’azienda è certificata “Carbon Neutral”, ossia è un’entità che compensa l’anidride carbonica prodotta attraverso il brand activism, vale a dire la propria impronta sociale valutata con i finanziamenti green.

L’engagement che punta principalmente sulla coscienza ambientale viene affiancato all’interno del menu del correntista da gruppi di spesa, educazione sulla sostenibilità, educazione al divertimento come presupposto alla cura del mondo.

Non ci sono in tutto quello che abbiamo visto qui nuovi concetti rivoluzionari, ma un attento studio gamificato volto a racchiudere quanto di più profano ed egoistico possa esistere (la cura del proprio patrimonio economico) con un envelop che faccia credere al correntista che le proprie scelte ed i propri investimenti siano al contempo divertenti ed utili per migliorare la società. Una sorta insomma di gamificazione della coscienza.

A cura di Valter Prette

Campagne elettorali gamificate: Trump in prima linea

Le elezioni americane si avvicinano e tra le molte iniziative ci aspettavamo sicuramente qualche idea potenziata dalla gamification.

Trump è da sempre concentrato sull’ambito social ed ora va alla carica con la nuova app T2020 che trovate su google e su apple store.

Applicare la gamification alla propaganda è un concetto che non dovrebbe risultare innovativo. Nell’ormai lontano 2011,  Fabio Viola scrisse un lungo articolo sull’intersezione possibile tra politica e coinvolgimento segnalando i primissimi casi provenienti dal mondo anglosassone e le possibilità di farne una tecnica di marketing politico anche in Italia.

 

Trump campagna elettorale app

Come funziona

L’app fornisce accesso a video tutorial che spiegano come diventare un attivista digitale, come organizzare incontri con gli amici a sfondo propagandistico, come diventare un bundler (attrattore di fondi per la causa).
La app usata dal team di Trump utilizza un sistema a punti: si ottengono punti se condividi i tweet del presidente, più punti se condividi la app.
Quando l’utente accumula 5000 punti puo utilizzarli nello shop online della campagna di Trump, che comprende prodotti ma anche accessi vip alle manifestazioni presidenziali; per i fanatici sostenitori, arrivare a 100mila significa un invito a fare una foto con il presidente!

Donal Trump gamification elezioni

La gamification rende più serene le persone sospettose e più attive quelle favorevoli

L’efficacia di questo sistema, che a noi può apparire ancora un pò alieno, è basata sul coinvolgimento attivo dei sostenitori, che vivono l’impressione di essere un membro del team. Che sia effettivamente così o no è difficile giustificarlo, ma anche ammesso che il numero di nuovi adepti cresca in modo trascurabile grazie alla app, è garantito che si moltiplichino le view dei messaggi del presidente.
Ci sono aspetti “sommersi” non così evidenti ed altrettanto importanti: uno è l’accesso ai numeri dei contatti sui cellulari (previo autorizzazione dell’utente) che permette di creare una mappatura degli influencer più efficaci e quindi meritevoli di attenzione. Un altro concetto che viene veicolato è il microtargeting: comprendere tramite informazioni condivise (i social con cui ti sei loggato, la profilazione, i tempi di risposta ai banner) quali siano gli argomenti di maggiore interesse e su cui quindi preparare dichiarazioni del presidente.

Un aspetto molto delicato che emerge dall’analisi di questo prodotto è quello etico: è corretto proporre uno strumento che studia le convinzioni degli elettori al fine di dire al candidato “cosa è meglio” dire alle persone? Non si tratta di un vero e proprio inganno? Per il team del presidente non lo è in quanto sono gli stessi utenti a dare le informazioni e accettare questo veicolo elettorale.

E’ una strada che Trump ha iniziato già nei tempi delle prime elezioni e che diverrà un punto fermo negli anni a venire, perché il tam tam social è molto più veloce, ed anche meno dispendioso rispetto alle convention tradizionali. Il coronavirus ha evidentemente accelerato l’adozione di questo metodo.
Stiamo quindi correndo verso uno scenario alla Max Headroom?

I numeri social di Trump stanno dando ragione alla sua decisione di gamificare la campagna, visto che supera in follower il rivale Biden di 13 a 1; quello che non viene spiegato opportunamente è quanti di questi follower sia in realtà delgi haters.

politica gamification vincere elezioni

In conclusione, e indipendentemente dall’efficacia del processo di gamificazione della campagna condotta da Trump, che comunque appare indiscutibile, possiamo dire che il matrimonio fra gamification e politica è stato celebrato e inevitabilmente prenderà piede anche altrove ed in paesi digitalmente arretrati come l’Italia. Un’ ennesima battaglia vinta possiamo affermare.

A cura di Valter Prette

Università basata sulla gamification

Stiamo vivendo un periodo di transizione verso nuove metodologie di impresa e di imprenditoria, sempre più coinvolte con il social e con la sperimentazione. Speriamo di cuore anche sempre più indirizzate ai digital nomads e al telelavoro, anche se questi aspetti sono storicamente osteggiati dalla nostrana cultura “industriale” imperniata di ufficio, di presenza fisica piuttosto che mentale, di orari e cartellini.
Ebbene è appena approdato anche da noi un esperimento totalmente antitetico a questo imprinting mentale antico, e vogliamo sposare il suo progetto perché porta nell’ambito educativo lo spirito non ingabbiabile proprio della gamification: parliamo dell’università secondo 42 Roma Luiss.

gamification università futuro

 

 

 

 

 

 

 

Come funziona

Questo progetto riprende quanto lanciato dal Network 42 in altre nazioni, e prevede un apprendimento gratuito della programmazione, scevro da numero chiuso e titoli di studio pregressi di altri istituti. Non esistono rette, non esiste il curriculum vitae.Per essere ammessi non è necessario alcun background, ma solo la partecipazione al processo di selezione sul campo chiamato “Piscine”, una full immersion di coding di 4 settimane, 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Al termine verranno selezionati i programmatori che mostrano maggiore attitudine ai principi della scuola, cioè la collaborazione, il focalizzarsi sulla soluzione del problema, la condivisione del risultato.

Roma Luiss 42 scuola

 

 

 

 

 

In cosa questa visione dell’università sposa la gamification? Innanzitutto la parificazione dei partecipanti: non esistono gerarchie perché non ci sono professori né esami. I risultati del proprio lavoro di programmatore sono quello che conta. Il percorso di apprendimento è costruito con il peer-to-peer learning e il learning-by-doing.

Mancando di punti di riferimento, si deve affrontare una vera e propria sfida e mettersi alla prova similmente alle dinamiche dei videogiochi multiplayer dove spesso i giocatori partecipano evitando training session o tutorial e preferendo sperimentare.

Partendo da queste basi, si fa leva totalmente sull’ engagement dei partecipanti, che non devono essere istruiti sulle regole ma portano il proprio contributo in base a ciò che gli riesce meglio e che più li entusiasma, modificando le regole stesse durante il progresso del progetto.

 

 

 

 

 

Il risultato del proprio contributo è visibile ad opera in corso e quindi si ha un riconoscimento immediato che possiamo valutare spontaneamente ma che soprattutto viene riconosciuto socialmente dal gruppo di lavoro in quanto saranno i colleghi studenti ad utilizzare le vostre soluzioni se sono valide!

Come possiamo valutare la parte rivoluzionaria di questo approccio e la sua efficacia in termini di un percorso gamificato?
Sicuramente è stata aperta una strada nuova, che non facendo uso delle vetuste basi del baronato universitario tipico italiano (autorità non discutibile basata solo sulle cattedre e quindi autoritaria e non motivazionale) inverte il ruolo dello studente da recettore a protagonista, a guida di se stesso e degli altri: la rivoluzione è servita.
Diverso il discorso sull’efficacia: questa va valutata con il tempo, in termini di confronto fra pari secondo credi differenti.
Sarebbe superficiale asserire che metodologie nuove sono migliori tout court: la missione della gamification non è sconvolgere lo status quo, ma andare a scovare le potenzialità che sempre sono state silenti e mortificate e condurle per mano sul pulpito perché possano contribuire.

In conclusione, 42 Roma Luiss è un primo esempio di università gamificata, non necessariamente l’esempio perfetto, e neppure crediamo noi che sia nata con lo scopo di esserlo. Speriamo vivamente che se ne parli e che abbia successo, affinché il suo esempio venga sviluppato da altre accademie.