Gamification: il punto della situazione

Sembra trascorsa una vita da quel lontano 2010, quando il termine gamification fece la sua comparsa per assestarsi come disciplina autonoma a supporto dei processi di innovazione di aziende ed enti pubblici. In un contesto di profonde trasformazioni tecnologiche, sociali ed economiche si faceva largo l’idea che il coinvolgimento potesse essere il motore trainante della nostra società e condizione propedeutica per migliorare la produttività dei propri dipendenti, generare viralità, migliorare il tasso di fidelizzazione o ancora rendere meno noiose le attività ripetitive e
obbligatorie. Una curva di adozione velocissima nel mondo anglosassone che spinse il 70% delle top 2000 corporation mondiali a implementare almeno un prodotto/processo gamification based nel giro di un triennio. Un hype sospinto dall’idea di una gamification come chiave pratica e poco costosa, di design del coinvolgimento in un contesto storico contraddistinto da KPI in discesa e budget marketing sempre più ristretti.

gamification cover
Il risultato della prima ondata di progetti non fu entusiasmante. Si stima che l’80% sia fallito a causa del cattivo design. La spiegazione va ricercata nella standardizzazione e semplificazione iniziale che ha visto aziende, prevalentemente del mondo anglosassone, abbracciare il paradigma PBLI (punti, badge, livelli, incentivi) indipendentemente dalla verticale di applicazione, target e obiettivi. Un’analisi più attenta del contesto di riferimento della disciplina, l’industria dei videogiochi, dimostra la necessità di partire dagli utenti/giocatori per progettare esperienze basate su leve motivazionali intrinseche da stimolare attraverso più complesse e variegate meccaniche e dinamiche provenienti dall’intersezione tra game design, psicologia positiva e scienze comportamentali. Approcci metodologi e progettuali seri hanno dimostrato gli impatti “disruptive” che la gamification può avere in seno a un’organizzazione aziendale garantendo significativi ritorni sull’investimento e un posizionamento competitivo rispetto ai competitor.

In Italia, con il consueto gap temporale in materia d’innovazione, è possibile annoverare il 2014 come anno zero della gamification. E ancor più che in ambito consumer, è nel comparto enterprise che sto notando la più compiuta
sedimentazione di queste nuove teorie e pratiche al servizio di recruiting, gestione dei talenti, motivazione della forza vendita e formazione del personale. D’altronde è necessario un profondo ripensamento per sintonizzarsi con la Generazione Y che entro fine decade rappresenterà il principale cluster lavorativo e sullo sfondo è in arrivo la prima ondata di Generazione Z. Parliamo di milioni di italiani che sono nati o cresciuti col digitale e che hanno fatto dei videogiochi il principale media di riferimento e si aspettano di ritrovare anche sul posto di lavoro un sistema in grado
di metterli a valore e soddisfare necessità e desideri.

Enterprise Gamification Report Italia
Accolgo quindi con grande gioia il lavoro portato avanti negli ultimi mesi da Wingage, un censimento meticoloso e complesso sullo stato dell’arte della gamification applicata in ambito enterprise ed un punto di partenza imprescindibile per ogni dipartimento delle risorse umane.

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