Gamification Mindset

Il potere forte e i profili forti sono da sempre alla guida delle aziende più imponenti. Non una grande scoperta vi concedo di dire, eppure in questo articolo cercheremo di comprendere come questa assunzione non sia sempre veritiera o auspicabile, cercando di spiegare perchè la gamification stia portando avanti da alcuni anni una rivoluzione più o meno silenziosa sotto le fondamenta della cultura imprenditoriale.
Affrontare certi argomenti aiuta tutti noi che della gamification abbiamo fatto la nostra ispirazione, a comprendere perchè sia necessaria al progresso di tutti gli ambiti, e che prima questo avverrà meglio sarà.

Un’azienda ideale nel nuovo millennio dovrebbe avere una struttura autonoma basata sull’innovazione e su best practices che si auto-alimentano in base ai risultati, ponendo gli attori umani che la realizzano in un piano, importante per quanto si voglia, ma secondario; rendendoli cioè intercambiabili.

Per quanto sia romantico ed entusiasmante assistere alla cavalcata di qualche rara industria capitanata da uno o pochi geniali visionari, dobbiamo intuire invece che più le aziende crescono in dimensioni, più si complicano le dinamiche interne, lo spostamento dei capitali, lo scontro di prospettive ed idee. E’ successo per esempio alla Microsoft di Bill Gates che ormai vive di vita propria, ed anche alla Disney, che ha perso totalmente il suo ruolo di creatrice di sogni ed è in mano agli analisti economici.

Il fondamento storico delle grandi aziende è stato quello di perseguire un obiettivo industriale, ed una volta raggiunto il successo ed ottenuta una porzione dell’oligopolio in qualsivoglia settore, investire sempre più non in innovazione ma nella difesa delle posizioni ottenute.
La mancanza di dialogo, il vedere il progresso delle tecnologie sociali non come un obiettivo comune da perseguire ma come la terra di conquista affossando gli altri, hanno reso nei decessi le industrie fragili, soggette a ridimensionamenti o addirittura acquisizioni a seguito di anche una sola semplice annata sfortunata nel mercato azionario.

Questa vulnerabilità cresce oggi ancora più veloce a causa delle nuove generazioni iperconnesse e flessibili; generazioni intendo, non di giovani, ma di startup, dove principi motivazionali e le pratiche della gamification tentano di sostituire l’immobilità delle strutture dipartimentali.

Questo fenomeno di invecchiamento dei modelli pre anni 2000 è palese in Italia, dove il concetto di startup e di finanziamento a rischio delle idee è da sempre osteggiato dalle banche e dagli imprenditori. Il cammino da noi è ancora molto molto lungo, e deve fronteggiare una barriera culturale alta e robusta che abbiamo ereditato.

Cerchiamo di capire i punti focali che impediscono oggi alle grandi aziende della penisola di sposare i benefici della gamification, con umiltà e consapevolezza di non poter essere che succinti, incompleti e, quindi, in qualche modo superficiali nel discutere una tematica che meriterebbe testi interi.

                        

Il concetto di processo dipartimentale vs la cross evolution
Le grandi aziende tradizionali considerano ineluttabile la stratificazione in dipartimenti. Ogni dipartimento si specializza in una competenza e cerca di accentrare le risorse utili a quella competenza tutte per se.
Apparentemente la specializzazione potrebbe essere confusa con l’expertise, ed avere un dipartimento che possiede lunga esperienza in un particolare campo (burocrazia, testing, indagini di mercato, etc.) dare la sensazione di avere le cosiddette “spalle coperte”.
Personalmente ritengo invece che la diversificazione estrema dei dipartimenti causi spreco di risorse e mancanza di confronto. Questi sono difetti antitetici rispetto al principio di cross evolution incentivato dalla gamification. Il confronto sistematico fra idee e risultati, che la gamification utilizza per incentivare la ricerca di nuove soluzioni, non si esaurisce nel risultato occasionale, ma rende un’azienda propensa all’auto-organizzazione coordinata (SELF Model).
Convincere i membri di un’entità quale un dipartimento che la loro struttura è troppo lenta se non del tutto restia ad accogliere l’esperienza di altre aree della stessa azienda per evolversi, è un problema paragonabile in certi ambiti italiani istituzionali ad un vero e proprio muro di gomma. In pratica, concedetemi un poco di ironia, servirebbe un dipartimento apposito per inter-scambiare i flussi fra i dipartimenti!

L’ostilità del potere vs la gamification che “viene dal basso”
Il potere nelle grandi aziende è ostile alla gamification in quanto innovazione non controllabile e troppo democratica.
Il confronto aperto introdotto da certe meccaniche della gamification ha l’obiettivo dichiarato di evidenziale i meriti di ognuno verso gli altri e lo fa pubblicamente, e questo è un pericolo inaccettabile per chi già detiene posizioni in alto nella gerarchia perchè facilmente accade che venga mostrato come dipendenti al di sotto siano più innovativi, capaci, produttivi di chi è al di sopra. Io chiamo questo accentramento del potere la “piramide irrazionale”, intendendo che persone giunte in alto in un’azienda che distribuisce il potere in modo obsoleto e piramidale non ragionano più nell’ottica dell’evoluzione dell’azienda ma solo dell’innalzamento degli strati della piramide. Essere in alto ti da il diritto di usufruire degli introiti dell’azienda e di prendere decisioni che possono anche contraddirne i principi perchè il tuo obiettivo è “la vetta”; l’azienda diviene il tuo strumento non la tua ispirazione. L’ispirazione, è un dato di fatto che chi pratica la gamification conosce bene, giunge più spesso dal basso, dalle new entry, da chi cerca di modificare le regole ponendole in competizione fra di loro come, diciamolo pure, in un videogioco multiplayer.

 

La celebrazione della segretezza vs la condivisione a beneficio aziendale
Le informazioni sono lo strumento più importante della vecchia forma di potere. E’ una regola in politica, in massoneria, nel mercato azionario, e soprattutto nelle mani dei manager dei dipartimenti, che sono in gara contro gli altri per ottenere budget e toglierlo ai dipartimenti concorrenti.
La competizione interna, negli anni incentivata come se fosse l’uovo di colombo per aumentare la produttività, è un grave cancro di molte grandi aziende, e la gamification da tempo ha smascherato questo concetto mostrando come la condivisione delle informazioni moltiplichi la robustezza strutturale di un’impresa.
La gamification è democratica e trasversale, mentre i poteri dipartimentali usano invece la mancanza di comunicazione come un vantaggio senza rendersi conto di quanto sia effimero.  

Esigere il controllo invece di liberare l’intuizione
I cosiddetti vecchi manager non vorranno ma cambiare le metodologie perchè sono quelle che padroneggiano e che gli hanno permesso di scalare la piramide. Accogliere la gamification fra le pratiche decisionali e quindi tutto il dinamismo che implica, significa perdere inevitabilmente potere.

Gerarchie vs matrici di competenze
La gerarchia piramidale, anzi mi spingo più in la riferendomi alla gerarchia in se stessa tout court, è un concetto addirittura ancestrale, purtroppo tipico del background imprenditoriale italiano, contrapposto al concetto di competenze condivise a matrice teorizzate in certe università ed aziende scandinave o americane (ma non ovunque neppure là).
Secondo questi concetti datati, l’accesso a un benefit che è la base della meritocratica gamification, deve essere invece riservato a chi ne “ha il diritto per gerarchia”.

Ostilità contro le persone capaci
In Italia la competenza non è generalmente al potere, e chi è al potere ha paura delle persone capaci perchè possono prendere il loro posto o evidenziare le loro mancanze, quindi le persone capaci tendono a non salire la gerarchia soppiantate dalle persone “fedeli”.
La gamification spinge invece a mettere in luce le capacità indipendentemente dal ruolo e può evidenziare come un dipendente sia sottoutilizzato o assegnato a mansioni non adatte.

A valle di queste considerazioni sparse che qui abbiamo introdotto, possiamo individuare un casus belli che nel futuro prossimo serpeggierà nelle grandi aziende?

Secondo me si: da una parte chi spinge per innovazione e quindi per l’adozione delle pratiche della gamification, per esempio il marketing che cerca linguaggi giovani (ricordiamo certi articoli precedenti che parlavano dell’istantaneo successo delle campagne WeChat in Asia), i trainer che cercano soluzioni per il team building e le risorse umane che cercano motivi validi per convogliare budget verso una selezione del personale più veritiera e non pietrificata dentro gli antidiluviani curriculum.
Dall’altra parte della barricata ci saranno, anche se spero in sempre minor numero,  project manager e business manager che guardano alla gamification come tempo perso, budget perso e attacco alla loro autorità.

Chi è destinato a vincere?

A cura di Valter Prette

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