Guida: Campagna marketing in un social game

Il paradigma della Gamification, così come l’etimologia della parola, affonda le sue radici nella crescente industria dei videogiochi. Una lunga tradizione che nell’ultimo quinquennio ha trovato terreno fertile della massificazione dei videogiochi, una industria in grado di generare $60.4 miliardi nel 2009 (fonte DFC) allargando a oltre 500 milioni di individui la propria base utenza attiva che “investono” oltre 3 miliardi di ore settimanali giocando online. Analizzando le statistiche di utilizzo di nuove piattaforme mass market come iPhone o Facebook la categoria giochi si colloca al primo posto sia per numero di applicazioni disponibili che per fatturato generato. Una enorme massa di non giocatori diventati giocatori e familiari a meccaniche come punti, livelli, boss di fine stage, classifica a punti, missioni e badge. Un target composto non più e non solo individui di sesso maschile 15-33 anni ma anche donne, tante donne che hanno invaso il mondo dei social games tanto da diventarne lo stereotipo di giocatore (donna, mamma sui 43 anni). Ad un rinnovato bilanciamento di genere, anche una stratificazione economica. Il magazine scientifico americano Cyberpsychology, Behaviour and Social Networking riporta che nel 2009 circa il 61% dei CEO, CFO ed altri senior executives intervistati si concede una breve pausa gaming giornaliera per staccare dal lavoro soprattutto su piattaforme mobile come iPhone, iPad, Blackberry e smartphone in generale.

Già negli anni 90 le grandi corporation colsero la sfida e l’opportunità promossa dalla massificazione di questo nuovo medium interattivo. Furono i primi passi della Gamification of Marketing, i cui antisignani furono Chupa Chups  con una campagna di in-game advertising nel 1992 e Adidas che promosse dei cartelloni pubblicitari a bordo campo nell’edizione del 1994 di Fifa Soccer prodotto da Electronic Arts.

Da allora di tempo ne è passato ed i videogiochi stessi sono mutati attraverso un graduale ma ineluttabile passaggio dall’atomo al bit, dai prodotti pacchettizzati ai giochi digitali. Il mondo dei social games, sia su Facebook che su App Store, è diventato dal 2010 un terreno di conquista da parte delle aziende protese a creare un livello di engagement ed una esposizione che nessun altro medium tradizionale è in grado di offrire. Il vantaggio è ovviamente reciproco, il proprietario/sviluppatore del gioco oggetto della campagna ricava non solo un fee solitamente basato sul CPE (cost per engagement) ma anche una valorizzazione del prodotto. Numerose esperienze, anche personali, han dimostrato che associare un gioco ad un brand significativo aumenta il livello di interazione della customer base.

Le strade percorribili da brand owner e centri media sono molteplici e devono essere influenzate dagli obiettivi, , budget a disposizione e corretta individuazione del social game a cui legare temporaneamente il marchio. Per comodità è utile dividere tra integrazione Leggera e Pesante, la seconda contraddistinta dalla creazione di giochi ad hoc brandizzati sarà approfondita nel corso della settimana entrante.

Oggi prendiamo in esame la forma Leggera di interazione, una partnership che comprende tutte le opzioni all’interno di giochi già esistenti con varie sfumature di intensità. Dolitamente si denota per il breve periodo in cui è celebrata da un giorno ad un mese al massimo. Non richiede grandi sforzi preparatori a monte e solitamente in massimo tre mesi viene studiata e messa in pratica, a patto di affidarsi a persone o agenzie esperte del settore. In alcuni casi la campagna non ha risvolti diretti sul gameplay, ma si limita ad offrire virtual currency (moneta virtuale del gioco x) in cambio di una interazione col brand all’interno del gioco o solamente nella sua bacheca come:

– Esposizione a un video

– Diventare fan della pagina ufficiale facebook di quel brand

– Compiere una azione collegata al brand

– Condividere con i propri amici il brand

– Partecipare a un sondaggio/quiz

Questo tipo di azioni non sono invasive e tendono ad essere estremamente economiche ed appetibili. A dirla tutta possono essere gestite da molte agenzie pubblicitarie senza bisogno di un esperto se non per l’individuazione dei prodotti giusti su cui investire.

Nel nostro ragionamento è molto più interessante una forma di integrazione che ha impatto sul gameplay grazie alla realizzazione di branded virtual goods.

Per chi non fosse pratico di social games e mondi virtuali, i virtual goods sono la riproduzione digitale di oggetti reali o di fantasia che vengono utilizzati dai giocatori per personalizzare il proprio avatar o progredire nella trama: spade, vestiario, oggetti decorativi e migliaia di altre sottocategorie che richiedono da parte dello sviluppatore un semplice lavoro grafico di creazione.  Così come nella vita reale vi sono oggetti virtuali no marca ed altri marchiati da brand noti. Solitamente hanno un prezzo da 0 a 3 euro e possono prendere il nome di Virtual Gifts nel caso in cui siano oggetti che un giocatore può regalare ad un altro.

Nel mese di Maggio il social game calcistico I AM PLAYR, prodotto dall’inglese WE R Interactive, ha ospitato una campagna marketing innovativa di Alfa Romeo. I giocatori che riescono a segnare 5 gol contro Danny Deans, capitano della squadra di River Park, sono premiati con una Alfa Romeo MiTo personalizzabile a piacimento grazie ad un apposito tool. A questa forma innovativa si accompagnano dei banner a bordo campo in puro stile in-game advertising.

Alfa Romeo MiTo nel social game I AM PLAYR

Capital One, colosso americano legato a banche e carte di credito, nei giorni scorsi ha lanciato una campagna gamificata sul social game Farmville di Zynga. Entrando nel gioco una pop up avvertiva dell’iniziativa ed inviata gli utenti a cliccare s “Mi Piace” nella pagina ufficiale facebook di Capital One. In cambio di questa attività i giocatori ottengono una statua visigota che, una volta apposta nella fattoria, era in grado di raddoppiare per una settimana i punti Mastery (utili per progredire più velocemente nel gioco). Parallelamente nel guardaroba sono stati inseriti due vestiti da contadino, uno maschile e uno femminile.

Capital One branded virtual good in Farmville

Campagne come queste, in cui vi è uno sforzo di creazione di branded virtual goods ed una loro integrazione in una cornice di gioco possono costare mediamente sui 50.000 euro, cifra estremamente indicativa. Una grande variabile è rappresentata dal tipo di gioco prescelto: estremamente popolare (mass market) o di nicchia ma ben associabile al prodotto da pubblicizzare. Nel secondo caso il costo può scendere sui 20/30.000 euro mentre nel primo arrivare anche fino ai 100.000.

E’ possibile spingersi oltre dando vita ad un connubio più profondo tra brand e social game. Non solo virtual goods offerti ma anche vere e proprie missioni o nuove location esplorabili direttamente afferibili al prodotto. In questi casi l’efford è maggiore e spesso vi è un connubio tra CPE e fee fisso che può arrivare anche a 150/200.000 euro.

Lo scorso 17 Maggio la popolare cantate Lady Gaga è sbarcata su Farmville per promuovere il nuovo album “Born This Way”.  Una area del gioco denominato Gagaville è stata adibita a fattoria della popstar, luogo in cui gli utenti possono entrare in contatto con virtual goods ad edizione limitata e con alcuni bravi inediti del nuovo disco da ascoltare in streaming. Parallelamente all’iniziativa in-game, è stata messa in vendita in alcune catene commerciali una Zynga Card dal valore di 25 dollari con la quale scaricare gratuitamente il nuovo album, un unicorno Lady Gaga esclusivo da utilizzare in Farmville e la chance di partecipare al blackstage di un tour.

Lady Gaga su Farmville

Esistono già un centinaio di case history documentate, alcune già correlate di metriche interessanti che sembrano confermare i possibili benefici nell’integrazione tra brand reali e giochi virtuali. Una case history concreta arriva dal film Disney Tron: Legacy recentemente promosso su NightClub City di Booyah. Nelle due settimane di promozione vi sono stati 120 milioni di minuti di brand engagement considerando: il numero di MI PIACE nella pagina del film, il numero di volte in cui è stato visto il trailer e il numero di volte in cui la colonna sonora del film è stata ascoltata nel juke box virtuale presente nel gioco.  Inoltre un totale di 3.1 milioni di virtual goods brandizzati sono stati consumati nei 15 giorni.

Nel prossimo articolo scoprire le dinamiche dell’integrazione pesante in questa corsa alla Gamification!

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