Il concetto di Meaning tra Gamification e Neuroscienza

I videogiochi, quando ben disegnati, sono straordinari tools in grado di motivare gli individui attraverso la generazione di emozioni e stati d’animo. Per lungo tempo questo know how è rimasto largamente rinchiuso all’interno della nostra industria. Ma cosa accadrebbe se 40 anni di game thinking, tecniche e teoria videoludica entrassero nel bagaglio di chi disegna qualsiasi tipo di esperienza, fisica e digitale?

Pur non essendo una scienza esatta l’arte di creare videogiochi, non è casuale che molti giochi anche ad alto budget non riescono a creare connessione con il target, ho deciso di creare il “Motivational Design Framework”, lo trovate in parte disseminato negli ultimi post in attesa di una presentazione slideshare organica che pubblicherò a breve, affinché funga da strumento standard per progetti dove le motivazioni ed emozioni diventano il driver principale per creare, stimolare, modificare i comportamenti umani.

Agire visceralmente su un individuo è un campo tanto complesso quanto rischioso. Se i videogiochi sono sicuramente in grado di offrire un sostrato di meccaniche e dinamiche è necessario guardare con attenzione il campo delle neuroscienze per una legittimazione anche teorica. In questo blog ho creto una specifica sezione, Behavioural Design, in cui cerco di sintetizzare alcune nozioni fortemente compenetrate col mio modo di vedere il design di una esperienza “Human Focus”.

Oggi vorrei riflettere insieme a voi su un concetto spesso citato nell’industria dei videogiochi ed in generale nello Storytelling, mi riferisco al termine inglese “Meaning”. Sin dagli albori del gaming, gli sviluppatori hanno speso creato una storia artificiale come sfondo alle azioni del giocatore. Quest’ultimo si ritrovava catapultato in un universo parallelo in cui indossava spesso i panni del salvatore del mondo, ogni suo gesto diventava epico perdendo ogni collocazione individuale per entrar a far parte di una dimensione collettiva. Dove ben costruito, questo senso più alto dell’azione individuale aiuta a creare una forte connessione emotiva aiutando il giocatore nell’immersione nel sistema. E’ una componente motivazione formidabile, difficile da costruire, ma a pieno titolo rappresenta il motivatore n.1 nel mio Motivational Design Framework.

Taito ha creato una storia epica per coinvolgere il giocatore di Arkanoid

Nell’evoluzione dell’industria dei videogiochi le tecniche per creare meaning sono cambiate profondamente. Ancora negli anni 80-90, il trasferimento del senso epico avveniva attraverso una schermata iniziale che svelava spesso il background e la missione del giocatore. Le ultime produzioni tendono a non disvelare sin da subito tutta la trama dando al giocatore il compito di dipanarla e modificarla in relazione alle scelte compiute (epic choices). Alle poche righe testuali di Arkanoid si contrappongono lunghe sequenze in computer grafica in cui scientificamente vengono svelati elementi utili alla comprensione.  Con Alan Wake i videogiochi hanno raggiunto un nuovo livello di storytelling dando vita ad una compenetrazione reale ed attiva tra gameplay e storia.

Remedy ha lavorato su una narrativa stratificata

Allontiamoci un attimo dai videogiochi, sebbene tutti coloro che si propongono come storyteller tanto avrebbero da imparare dall’analisi di un medium interattivo per eccellenza dove la storia concepita dal designer si confronta e si arricchisse con l’attività del fruitore. Quello che mi interessa analizzare è il processo mentale che porta l’utente ad immergersi in qualcosa di epico e con un senso superiore.

E’ il principio su cui è nato quello straordinario successo che è Wikipedia. Milioni di persone al mondo vi contribuiscono dedicandoci tempo e intelligenza a titolo totalmente gratuito. Ogni singola voce inserita, ampliata o modificata genera un valore collettivo, una indubbia utilità per tutto il genere umano che potrà beneficiare positivamente della nostra azione.

Nel 1963 lo psicologo animale Glen Jensen scoprì qualcosa di apparentemente illogico. Studiando il comportamento di 200 topi albini maschi scoprì che in larga parte  essi preferivano guadagnarsi il cibo attraverso l’esecuzione di alcuni task piuttosto che attingere direttamente da una vaschetta “gratuita” posta nella gabbia. Questo strano risultato è stato poi successivamente ritrovato in numerose altre specie animali contraddicendo l’idea comune evolutiva che gli essere animati tendono a voler conseguire il miglior risultato col minor sforzo possibile. Questa teoria del Contrafreeloading ci aiuta a capire quanto radicato nel DNA sia la necessità di dare un senso anche ad una esperienza come quella di nutrirsi.

Ma anche gli individui seguono i medesimi comportamenti animali?

Ariely, Kamenica e Preler hanno condotto un interessante esperimento pubblicato col titolo “Man’s Search for Meaning: The Case of Legos”. Due gruppi di studenti sono stati coinvolti in un esperimento all’intero di una università americana.  Entrambi avevano il compito di costruire dei piccoli robot utilizzando dei lego, per ogni pezzo completato una paga che progressivamente diminuiva di 50 centesimi fino ad azzerarsi togliendo ogni incentivo di tipo economico.

Il primo gruppo ha lavorato in un ambiente “meaningful”, ogni pezzo costruito finiva di fianco quasi a formare un piccolo museo. Il lavoratore poteva osservare il frutto del proprio duro lavoro provando un senso di piacere nell’aver completato con successo la missione. Il secondo gruppo, invece, dopo aver assemblato il robot se lo vedeva distrutto con la spiegazione che non avevano sufficienti pezzi e quindi era necessario riutilizzarli. In questo caso entrava in gioco un senso di frustrazione nel vedere minuti/ore di lavoro svanire in pochi istanti.  Una esperienza priva di ogni senso che tende ad essere stoppata pur in presenza di un incentivo economico.

Risultati esperimento contesto significativo vs non significativo

Il risultato? Il primo gruppo ha costruito in media 10.6 robot ricevendo un corrispettivo di $14.40 mentre il secondo ha costruito in media 7.2 robot ricavandone $11.52. Mentre il 65% di coloro che hanno operato in un ambiente “significativo” hanno continuato a costruire robot anche al raggiungimento di un fee inferiore ad un dollaro, solo il 20% dei meaningless hanno continuato a cimentarsi.

Che cosa impariamo? Se inseriamo all’interno di un contesto significativo una persona che ama fare quella azione (qualunque essa sia) il comportamento sarà enfatizzato influenzando positivamente anche il livello di sforzo nell’atto. Di contro se lo stesso cluster di persone viene inserito in un contesto scarsamente significativo la gioia nel compiere l’atto sarà attenuata se non addirittura repressa.

 

 

 

 

 

Lascia un commento